I SOVRACCARICHI
Intanto però Ireneo lavora da spaccarsi la schiena. Sono gli anni in cui si può guidare senza problemi. «Facevo 130.000 km all’anno – racconta – mi pagavano a ore e io andavo avanti e non mi fermavo mai, però non superavo mai i miei limiti e infatti non ho mai avuto un incidente». I problemi, però, arrivano e sono anche gravi. «Erano gli anni in cui si facevano tanti sovraccarichi – spiega – e se ti beccava la polizia, arrivavano verbali pesanti. E mi successe anche che il trasportatore per cui lavoravo non pagò le multe e la polizia se la prese con me. Cominciò così una battaglia durissima, perché io non volevo pagare multe che non mi spettavano. Una volta, mentre stavo partendo, arrivò a casa mia un ufficiale giudiziario e io gli dissi che se mi avesse pignorato qualcosa, gliela avrei fatta pagare. Si spaventò e, da quella volta, tornò sempre con i carabinieri. Purtroppo, nel momento più caldo di questa battaglia, mia moglie perse la creatura di cui era incinta per lo stress… Per quei sovraccarichi, non ho mai pagato un soldo, ma sono stato comunque colpito in modo terribile!». Oggi, Ireneo ha due figlie, di cui, insieme a sua moglie Maria Immacolata, è felice e orgoglioso.
VIAGGI INFINITI
«Io – continua Ireneo – ho portato di tutto, in un’epoca in cui si caricava e si scaricava a mano. Mi ricordo ancora il mio primo viaggio sul continente: portai granito su un 682 da Buddusò (in Sardegna) a Domegliara (Verona)». E di questo viaggio Ireneo ricorda soprattutto la salita da Barberino a Sasso Marconi, che fece in prima ridotta e che durò una vita. E ricorda anche quelle trasferte che non finivano mai, da Milano a Taranto, negli anni ’70, quando si partiva da Melegnano e si scendeva giù lungo l’Adriatica, perché l’autostrada non era ancora finita. Si viaggiava per 24 ore di seguito…e non si dormiva mai!
I SOLDI E IL LAVORO
«Era un lavoro duro – aggiunge – però io ero pagato bene. Mi davano 2 milioni e 400 mila lire al mese. Sono riuscito a comprare una bella casa, grande, ma il lavoro me lo gestivo da me… io ero quasi il padrone dei camion con cui lavoravo. Ho sempre fatto l’interesse dell’azienda e, se a un certo punto le cose non andavano bene, una stretta di mano e me ne andavo».
LA FAMIGLIA
«Mia moglie, un po’ per scherzo un po’ sul serio, è sempre stata gelosa: diceva che amavo più i camion di lei. Ci parlavo, li pulivo e poi gli davo un bacio. Però, non ho mai trascurato la famiglia. Ed è stata la mia salvezza… perché oggi, dopo una vita insieme, mia moglie e io siamo ancora qui, contenti di quello che abbiamo costruito e, nonostante sia passato quasi mezzo secolo, continuiamo a volerci bene». E questo, forse, è il punto più bello di una storia che rappresenta la vita di un’intera categoria. Che oggi è molto cambiata, ma i cui valori sono – alla lunga – sempre gli stessi.
(Parte 01 – Parte 02)