In Cile, la tribù degli indio Mapuche chiede il controllo delle terre che furono dei loro antenati, ma il governo le usa per l’industria del legname e gli allevamenti di salmone, e in mezzo a questa contesa sono finiti i camionisti. Terza parte del reportage
GUERRA TRA POVERI
I camionisti chiedono maggiore sicurezza e pene più severe per chi brucia i camion, con un provvedimento che renda le cabine di guida “luogo abitato”; cioè legalmente identiche a un’abitazione, così che bruciare un camion sia come bruciare una casa. Non è un particolare secondario. Con questa legge, per chi brucia un camion la pena potrebbe diventare durissima: da 15 anni all’ergastolo. E la richiesta dei camionisti è condivisa da buona parte della popolazione, ma questo consenso si riduce drasticamente quando si tratta di giudicare il tipo di protesta messa in atto. “Il Cile è una nazione lunga e stretta. Se blocchi le strade si blocca tutto – ci ha detto Florencia Ibanes, insegnante di Valparaiso. – Protestare va bene, mettere alla fame un intero Paese no! Ci deve essere una misura, tra quello che chiedi e come lo chiedi, perché se fai il prepotente, alla fine resti solo!”. E questo è anche il parere della maggioranza dei cileni, che vedono nelle rivendicazioni dei camioneros una sorta di ricatto, anche perché qui nessuno ha dimenticato che fu proprio un lunghissimo sciopero dei camionisti, secondo molti probabilmente finanziato dalla CIA, a provocare la caduta del governo socialista di Salvator Allende e la successiva sanguinosa dittatura del generale Pinochet. Insomma, a una situazione esplosiva, quella dei Mapuche per le loro terre, se ne stava aggiungendo un’altra, quella dei camionisti contro il resto del Paese. Con il rischio di una nuova, ennesima, guerra tra poveri. Ma su una cosa tutto il popolo cileno, indios compresi, alla fine si sono ritrovati uniti.
UN NUOVO PERCORSO
Il 25 ottobre scorso sette milioni e mezzo di cileni si sono messi ordinatamente in fila, ben distanziati tra loro e ognuno con la sua brava mascherina a coprire naso e bocca, e tutti insieme – cittadini qualsiasi, camionisti e indios – hanno messo da parte ogni risentimento e con una maggioranza schiacciante, del 78,2%, hanno votato per chiedere una nuova costituzione, che vada a cancellare quella imposta oltre 30 anni fa dal generale Augusto Pinochet. “È la fine vera della dittatura e l’inizio di un nuovo percorso, da fare tutti quanti insieme”, ha dichiarato il giorno dopo il presidente Piñera. “Che ci sia una patria per i Mapuche e un po’ di pace anche per noi camionisti”, ci ha confidato il camionero Matìas, a cui avevamo chiesto cosa si aspettava da quella votazione. Ora il dado è tratto, un nuovo percorso è iniziato. Starà agli uomini fare in modo che sia un percorso di pace.