In Cile, la tribù degli indio Mapuche chiede il controllo delle terre che furono dei loro antenati, ma il governo le usa per l’industria del legname e gli allevamenti di salmone, e in mezzo a questa contesa sono finiti i camionisti. Seconda parte del reportage
IN PIAZZA TUTTI INSIEME
Le prime avvisaglie che qualcosa stava cambiando, nell’infinito conflitto tra i Mapuche e il governo cileno, si erano avute nell’agosto del 2017, quando un gruppo di uomini armati appartenenti all’organizzazione Weichan Auka Mapu (“I combattenti dei territori ribelli”) aveva incendiato 29 camion adibiti al trasporto legname. In quel caso la Sotraser, compagnia di subappalto dell’industria forestale cilena, denunciò sei milioni di dollari di danni. Poi blocchi stradali, scioperi della fame e qualche raro attacco ai mezzi della polizia, da parte di una piccolissima minoranza Mapuche particolarmente aggressiva, ma per il resto la maggioranza degli indios ha cercato consensi tra la popolazione cilena, e nessuno ha più toccato i camion e i camionisti. Così gli indios e le loro rivendicazioni sono diventati famosi a Santiago, la capitale. Il massimo del sostegno alla causa degli indios si è raggiunto con le grandi manifestazioni popolari contro il carovita del 2019. La “Wenufoye”, la bandiera tradizionale dei Mapuche, era dappertutto in piazza e addirittura i manifestanti avevano eretto un “rewe”, un tipo particolare di altare utilizzato nelle cerimonie Mapuche proprio in Plaza Italia, al centro esatto della capitale.
UNA STAGIONE DI FUOCO
Per uscire dalla stretta delle rivendicazioni sociali delle fasce più povere della popolazione, che si stavano saldando con le proteste degli indios del sud del Cile, il governo e il presidente cileno
Sebastián Piñera hanno promesso un referendum per cambiare la costituzione. Molti hanno pensato che poteva essere l’occasione giusta per affrontare il tema delle differenze sociali ancora presenti nel Paese, e anche la maggioranza degli indios ha pensato che un referendum costituzionale potesse essere un buon modo per vedere riconosciuti i loro diritti. Ma da quel momento, le manifestazioni di piazza sono diminuite e la repressione è aumentata, con l’arresto di attivisti Mapuche che spesso appaiono del tutto ingiustificati. Così alcuni Mapuche si sono sentiti presi in giro e ha ricominciato con la linea dura, ha ricominciato con il fuoco. E di nuovo i camionisti si sono ritrovati sulla linea del fronte, con attacchi quasi quotidiani e quasi cento camion bruciati negli ultimi mesi.
LO SCIOPERO DEI CAMIONISTI
La situazione è degenerata fino alla proclamazione dello sciopero nazionale dell’autotrasporto, che a inizio autunno ha praticamente bloccato le esportazioni di salmone, frutta, carne e vino dal Cile verso Nordamerica, Europa e Asia. L’agitazione, durata una settimana, ha messo in ginocchio il settore agricolo che, proprio grazie alle esportazioni, aveva retto bene all’urto della pandemia. “È tutto bloccato! – si è lamentato Carlos Mondaca, portavoce del porto di San Antonio, uno dei due più grandi del Paese. – Abbiamo sei navi pronte a salpare verso Stati Uniti, Europa e Hong Kong. Dovevano caricare kiwi, mele, pere e agrumi ma hanno le stive vuote!”. Lo stesso è accaduto con la florida industria del salmone, con gli aerei cargo bloccati sulle piste. Ma anche le importazioni ne hanno risentito, con quasi 300 mila tonnellate di cereali restate a bordo di otto navi, sempre nel porto di San Antonio.