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Camionisti rapiti, camion svaniti nel nulla e banditi travestiti da poliziotti: in Messico la paura viaggia in autostrada e ognuno si difende come può…
STRADE DI FUOCO
El Flaco (nome di fantasia) ha paura, per questo ci chiede di non fotografarlo. Le sue mani sono contratte sul volante e lo sguardo va di continuo verso lo specchietto retrovisore, per controllare chi ci segue. Sono passati quasi due anni da quando è stato rapito, strappato dalla cabina del suo camion da banditi travestiti da agenti di polizia. «Mi hanno picchiato e infilato la canna della pistola in bocca. “Se ci guardi ti uccidiamo”, dicevano. Poi mi hanno bendato e mi hanno buttato nel cassone di un pick-up. Non so dove mi hanno portato… si sentiva musica cubana a tutto volume… Prima mi piaceva quella musica, adesso la odio». Intanto, mentre El Flaco veniva tenuto in ostaggio, i complici dei suoi rapitori, con tutta calma, gli smontavano il camion, un Peterbilt del 2010, e piazzavano sul mercato nero il suo carico di smartphone e televisori. «Dopo tre giorni la musica si è interrotta… così, dopo qualche ora di silenzio ho preso coraggio. Mi sono tolto la benda e non c’era più nessuno… Insomma, mi hanno lasciato andare». Da allora viaggia con un machete «Ma lo devo tenere nascosto – aggiunge, dando un’altra occhiata al retrovisore – perché se lo trova la polizia, sono io quello fuorilegge».
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UNA SITUAZIONE DISPERATA
La storia del Flaco racconta la terribile normalità della maggior parte dei camionisti in Messico, un paese in cui i camion si muovono spesso in convoglio, come i militari nelle zone di guerra, cercando di proteggersi l’uno con l’altro. È una precauzione che sembra servire a poco, visto che negli ultimi anni le rapine ai camion sono arrivate a quasi 3000 l’anno, mentre gli atti di violenza e i furti “minori” nei confronti degli autotrasportatori sono circa 12 mila l’anno: 33 al giorno, tutti i giorni! Alcune aziende hanno organizzato scorte armate per proteggere le loro merci, altre – soprattutto quelli che trasportano beni di lusso – hanno cancellato scritte e marchi dai camion. Altre ancora hanno investito in tecnologie di geolocalizzazione, aumentando le comunicazioni con le autorità di polizia. Ma nelle zone più pericolose del Paese, tutto sembra inutile…
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PROTEZIONI DALL’ALTO…
«Su alcune strade – racconta José Munoz, camionista di Tehuacàn, facendosi più volte il segno della croce – puoi solo raccomandarti l’anima a Dio e accendere un cero a Nuestra Señora de la Santa Muerte. Io faccio avanti e indietro tra Città del Messico e il porto di Veracruz, una strada maledetta. Sono stato rapinato solo una volta, mi hanno bloccato con un pick-up e hanno sparato una raffica di kalashnikov per fermarmi. Sono stato fortunato… hanno sparato in aria». Scene simili si ripetono praticamente tutti i giorni sulle strade che collegano la capitale con i principali porti del Golfo del Messico e del Pacifico. In queste zone, le statistiche sono devastanti: è quasi certo che un camionista su due sarà derubato. E anche in mancanza di dati ufficiali, si sa che le assicurazioni pagano circa 100 milioni di dollari ogni anno per rifondere le ditte colpite dalla criminalità. E bisogna anche ricordare che da queste parti solo un carico su tre viene assicurato, perché per tutti i padroncini il costo delle assicurazioni è troppo alto.
(Parte 01 – parte 02)