Il 26 luglio 1993, a Scanzano Jonico, in Basilicata, Vincenzo De Mare, camionista, fu ucciso a colpi di fucile, mentre arava il podere di famiglia. Ancora oggi il suo omicidio risulta irrisolto, nma da anni investigatori e familiari sospettano sia stato vittima del crimine organizzato. Il motivo? Vincenzo, che era un uomo onesto, si era trovato in mezzo a un traffico di rifiuti illeciti e aveva detto “no” a personaggi potenti che chiedevano nla sua collaborazione. Per quel suo “no” era stato ucciso. Vincenzo era un padroncino, faceva trasporti per la Centrale del latte della zona, la “Rugiada Spa”. In famiglia aveva rivelato: «Se dico una sola parola su quello che fanno allo stabilimento, li faccio saltare tutti quanti». In seguito, si era confidato con un amico e gli aveva domandato: «Non è che qualcuno poi mi spara da un ponte?». Purtroppo, quella premonizione era fondata. E infatti, mentre era al lavoro su un trattore, in un terreno di sua proprietà, qualcuno, nascosto tra gli alberi, lo aveva ucciso con due proiettili in pieno volto. A caldo, le indagini si erano indirizzate su un agricoltore, con il quale Vincenzo aveva litigato per questioni di vicinato, ma il test della polvere da sparo lo aveva scagionato. Così, l’inchiesta era stata chiusa in fretta.
Vincenzo De Mare: camionista eroe
A riaprila è un testardo ispettore di Policoro, Franco Ciminelli. Come ha scritto Filippo Mele, il giornalista che più di tutti ha seguito il caso De Mare, «Ciminelli spulcia tra i documenti di carico del camion di Vincenzo, ripercorre i suoi movimenti e si fa un’idea di quello che può essere successo. All’andata, Vincenzo trasportava latte, ma al ritorno viaggiava vuoto. Così qualcuno gli aveva chiesto di caricare sul suo mezzo rifiuti clandestini. Ciminelli mette la sua ipotesi nero su bianco in un’informativa per il suo superiore. Il documento, spiega Mele, sembra sparire nel nulla e alla fine «sia Ciminelli che il suo superiore vengono trasferiti». E la pista del racket dei rifiuti cade nel dimenticatoio. Passano gli anni e finalmente Filippo Mele, che non ha mai smesso di indagare sul delitto, entra nella Centrale del latte, che ormai è chiusa. «In quello che era ormai un cimitero industriale – racconta Mele – trovo vari bidoni contenenti sostanze chimiche. Fotografo i fusti e il giorno dopo la pubblicazione del mio articolo, l’area viene messa sotto sequestro dai carabinieri». Viene intercettata anche una telefonata che si fanno i due figli di Vincenzo che confermano il senso delle indagini: secondo loro, il padre è stato ucciso perché aveva rifiutato di trasportare materiali tossici. Vengono indagate cinque persone, tra cui «colletti bianchi, cioè dirigenti, e manovalanza criminale». Purtroppo, però, non si arriva a nessun processo. Da allora, in tanti si battono per la verità, soprattutto la figlia della vittima, Daniela, che è diventata avvocato, ma l’omicidio di Vincenzo De Mare è ancora senza un colpevole. «La comunità di Scanzano – commenta Mele – resta con una ferita aperta». Ma, a 26 anni di distanza, rimane ancora il ricordo di un camionista che, in silenzio, ha saputo opporsi alla malavita.