Dopo 5 anni di indagini e udienze, le vittime della tragedia e le loro famiglie potrebbero non avere giustizia. Al massimo qualche indennizzo.

24 Ottobre 2023 di Redazione

Dopo 5 anni di indagini e udienze, le vittime della tragedia e le loro famiglie potrebbero non avere giustizia. Al massimo qualche indennizzo. Ecco che cosa sta succedendo…

Il 14 agosto del 2018, il crollo del ponte Morandi causò 43 morti. Si disse che i vertici della Concessionaria (ASPI – Autostrade per l’Italia) avevano ignorato i gravi segnali che venivano dalle strutture del ponte. E oggi, ben tre processi devono accertare se, per risparmiare sulla manutenzione (e guadagnare di più) gli imputati mancarono al loro dovere. Però, c’è un rischio da brividi: che vada tutto in prescrizione prima della sentenza.

Il dibattimento di Genova dovrebbe chiudersi entro il 2024, ma ci sono altri due procedimenti per presunte false attestazioni sulla sicurezza dei tratti autostradali e per alcune irregolarità finanziarie.

Allarme legale

Il processo per quella tragedia è molto complesso, ci sono 58 indagati tra manager e alti dirigenti delle società che gestivano il ponte, 170 testimoni e un gran numero di avvocati che dispongono di tutti i mezzi necessari per tirare fuori dai guai i manager sotto accusa. Così, il Fatto Quotidiano (che fin dall’inizio si è schierato contro ASPI) lancia l’allarme: la prescrizione potrebbe arrivare addirittura nel 2026. Secondo i pm infatti all’omicidio colposo si aggiungerebbe un’aggravante, che l’incidente è avvenuto su un luogo di lavoro. E certamente per gli autisti che viaggiavano sul ponte, la strada era un luogo di lavoro. Però, su questo punto ci sono opinioni diverse, tant’è vero che in passato la Cassazione respinse questa impostazione a proposito dell’incidente ferroviario di Viareggio del 2009. Dunque il pericolo che non si arrivi in tempo alla conclusione del processo è credibile, anche se la sentenza di primo grado è prevista per il 2024.

Le famiglie chiedono giustizia: le accuse sono gravi. Omicidio colposo plurimo, crollo doloso, falso, omissione di atti di ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti… etc!

Che fine ha fatto la concessionaria?

Intanto però la situazione è cambiata radicalmente. Lo Stato non ha revocato la concessione ad ASPI, ma – come ci ricorda il quotidiano economico Italia Oggi – tramite alcuni fondi di investi mento, ha acquisito l’88,6% della Concessionaria pagandola 8 miliardi di euro. Con quei soldi in tasca, la famiglia Benetton ha cambiato il nome di Atlantia, la holding che controllava il gruppo, e l’ha chiamata Mundys. Ora continua il suo programma di investimenti con quel “tesoretto” (si fa per dire), che consente un’attività finanziaria immensa. In poche parole, la famiglia Benetton è uscita da questa tragedia senza perderci granché, tant’è vero che le azioni di Mundys oggi valgono di più di quanto valessero quelle di Atlantia prima del crollo del ponte.

Nella sua testimonianza shock, Gianni Mion, 86 anni, genio finanziario della famiglia Benetton, ha spiegato di aver saputo fin dal 2010 che il ponte Morandi era a rischio crollo.

Nessun controllo?

Ma le vittime della tragedia? In attesa degli indennizzi, vale la voce di Gianni Mion ex consigliere di amministrazione di ASPI e Atlantia ed ex ad della holding dei Benetton Edizione. Come ricorda l’Ansa, nel 2010, durante una riunione con i dirigenti di Autostrade e della Spea (l’azienda che si occupava della manutenzione della rete ASPI) in cui si parlava del pericolo del crollo del ponte, chiese chi ne certificasse la sicurezza e la risposta fu che “la sicurezza era autocertificata”, come dire che non c’erano controlli.

E oggi, a 86 anni, Mion dichiara: «Il rimorso, io credo, è un cancro che ti divora il cuore». Solo che anche lui è stato zitto.

Il Ponte di Renzo Piano: in realtà si chiama Viadotto Genova San Giorgio, è stato realizzato in un solo anno e oggi rappresenta un esempio che ci da speranza per il futuro.

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