Giovanni Zeoli, camionista di giorno e scrittore nelle pause, ci racconta il suo libro.

11 Dicembre 2019 di staff

Giovanni Zeoli, camionista di giorno e scrittore nelle pause, ci racconta il suo libro.
La continua ricerca di una voce “diversa”, che dicesse qualcosa di nuovo, che mi desse speranza, che facesse vibrare le corde dell’anima, mi ha avvicinato alla letteratura. Attorno a me sentivo solo voci venali e nichiliste, per cui nulla nella vita aveva reale valore, se non il denaro.
Sì, ma doveva pur esserci qualcos’altro! La mia comunità cattolica predicava bene e razzolava male. Ti guardava di sottecchi e sprezzante quando tentavi di sottolineare alcune incongruenze fra gli ideali del cristianesimo e la vita di tutti i giorni.
Loro, però, non erano propensi al dialogo, avevano i loro dogmi e, se questi ti stavano stretti, meglio girare alla larga. La letteratura, più che una semplice passione, è stata la mia salvezza. Senza, sarei sicuramente impazzito e non sarei mai arrivato a capire il perché di tutta questa illogicità che ci circonda. Essa va più in profondità. Raggiunge le viscere del nostro essere. Ecco perché scrivere è la cosa più bella del mondo, ma anche la più difficile.

Giovanni Zeoli: formazione tortuosa 
Non ho provato a scrivere da subito. Mi ci sono voluti molti anni e molti libri da leggere per poter intraprendere questa sfida con me stesso. Anche la mia formazione non è stata meno tortuosa: dopo aver conseguito il diploma di perito commerciale, il mio bisogno di indipendenza mi ha portato a non proseguire gli studi. Ho svolto il servizio di leva obbligatorio e, dopo un apprendistato di dieci mesi da un falegname, nel 2001, ho deciso di cercare lavoro in Svizzera come manovale edile. Dopo un anno, sono tornato sui miei passi e ho lavorato per tre anni in una fabbrica tessile della mia zona, per poi decidere finalmente, nel 2004, di salire sui camion e lavorare per una ditta di autotrasporto di alimenti freschi. Quest’attività, cui sono tutt’ora grato, per molto tempo ha frenato il bisogno di scrivere ma non quello di appassionarmi alla letteratura del Novecento.
 Da ragazzo avevo letto Baudelaire, Wilde, Rimbaud, Guy de Maupassant, le poesie di Jim Morrison e per diletto avevo scritto versi simili, un po’ come faceva- no tutti. Nei primi anni Novanta, con l’avvento della musica grunge, andava di moda scrivere poesie maledette, canzoni e quant’altro.
Anche nei piccoli paesini, come quello in cui vivevo io. Poi, quasi tutti hanno cambiato strada. I giovani del Duemila hanno bistrattato la poesia e l’arte in genere per i reality e i talent-show, per l’illusione di facili approdi di successo accessibili a chiunque, pur senza possedere una minima ombra di talento. La consapevolezza di vivere in una società sempre più minimalista e, al tempo stesso, la durezza e il cinismo conosciuti sulle mille strade che ho percorso, mi hanno spinto verso la narrazione. Dapprima inebriandomi di Bukowsky, Fante, Hamsun, Céline e tanti altri.
Poi, rompendo ogni indugio, e scrivendo il mio primo romanzo: “Truck driver”.

Truck driver

“Truck driver” è un romanzo scritto, pensato e vissuto sui camion, nelle interminabili file, agli scarichi dei magazzini, con un occhio al tabellone, che indicava la buca in cui scaricare, e un altro al PC. Il romanzo è di chiaro riferimento autobiografico, anche se le vicende sono romanzate e in alcuni tratti di pura fantasia. La cabina del camion diventa per il mio alter ego, Giovanbattista “Malone” Bandinaschi, un osservatorio dal quale riflettere. Sul mondo e, soprattutto, sulla propria esistenza. Svaniti gli entusiasmi degli inizi, per un lavoro da camionista che gli regala un’aura di forza e libertà, un buon compenso economico e una bellissima donna che sovente lo accompagna nei suoi tragitti e gli si concede molto facilmente, su Malone cominciano a stagliarsi le oscure ombre del fallimento. La donna lo lascia di punto in bianco, senza dargli una spiegazione e il lavoro comincia a pesargli enormemente. Anche perché nel frattempo la crisi economica ha indotto la sua azienda ad aumentare i carichi di lavoro e a ritoccare al ribasso il suo salario. Altri incidenti di percorso, come la rottura dell’impianto frenante, l’infossamento delle ruote gemellate in una cunetta, multe facili da parte delle forze dell’ordine e il vortice di pensieri, passati e recenti, che lo tormentano fanno sì che la sua proverbiale calma venga meno. Dopo una settimana d’inferno, anche i suoi capi si rendono conto che gli ci vogliono un po’ di ferie. Malone coglie al balzo l’occasione per prenotare un viaggio con un suo vecchio amico, anche lui in una fase dell’esistenza disastrata, verso i divertimenti allettanti e facili di Budapest.
Ma il destino gli gioca ancora un brutto scherzo. Sarà bloccato al check-in come un furfante e… vi lascio al finale incalzante del libro.

 

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